Emergency

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. dango
        Like  
     
    .

    User deleted


    Quello che ora vorrei sapere io, è che fine fa l'ospedale...perchè se dopo la liberazione dei tre volontari e dopo il riconoscimento dellea loro innocenza, anche l'ospedale riapre...allora diciamo pure che tutto è bene quel che finisce bene e complimentaimoci per la celerità dell'indagine.

    In caso contrario non ci complimentiamo affatto...
     
    .
  2. Ireth74
        Like  
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (dango @ 19/4/2010, 15:31)
    Quello che ora vorrei sapere io, è che fine fa l'ospedale...



    l retroscena
    Le condizioni per il rilascio: non riaprire l’ospedale
    Liberi i tre operatori di Emergency. La contropartita per la soluzione del caso.


    SPOILER (click to view)
    L’appoggio politico al presidente Hamid Karzai e i nuovi progetti di sviluppo che l’Italia si è impegnata a sostenere certamente hanno pesato sulla trattativa. Però la vera svolta per sbloccare l’impasse e ottenere la scarcerazione dei tre detenuti sembra essere arrivata con il trasferimento a Kabul di tutti gli operatori umanitari che lavoravano nell’ospedale di Lashkar Gah, determinandone così la chiusura. È questa la condizione che il governo italiano ha dovuto accettare per soddisfare gli afghani, ma anche il vertice militare britannico che di quella zona a Sud del Paese detiene il comando. E tanto basta a confermare definitivamente come la perquisizione ordinata una settimana fa nella struttura fosse soltanto un pretesto che serviva a tenere sotto pressione l’organizzazione di Gino Strada finita nel mirino per il suo ruolo pubblico e per aver mediato negli anni scorsi con i talebani ottenendo la liberazione di Gabriele Torsello e Daniele Mastrogiacomo, sequestrati mentre erano in quell’area.

    Gli uomini dell’intelligence e della diplomazia si sono mossi in parallelo nel negoziato con gli 007 locali, riuscendo a dimostrare come Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell’Aira fossero del tutto estranei a qualsiasi progetto di complotto o di attività terroristica, come invece era stato veicolato inizialmente pur senza alcuna contestazione ufficiale. La realtà è che tutte le notizie false di questi giorni — comprese quelle su un coinvolgimento di Garatti nel sequestro Mastrogiacomo e addirittura l’esistenza di telefonate registrate — servivano soltanto ad alzare il prezzo. Alla fine il conto è stato saldato assicurando che l’eventuale riapertura dell’ospedale avverrà soltanto con il consenso unanime delle autorità di Kabul. E forse anche con il via libera dei britannici. Una sorta di ricatto che Emergency è stata costretta ad accettare, almeno per adesso, pur di riportare a casa i tre operatori. Troppo alto era il rischio di tenerli un mese nelle prigioni afghane fino alle eventuali contestazioni definitive. Troppo forte il pericolo di ritorsioni, tenendo conto che dell’atteggiamento di ostilità nei loro confronti dopo la gestione della trattativa per Mastrogiacomo.

    A Emergency i servizi segreti locali contestano soprattutto di non essere riusciti a ottenere anche la liberazione dell’interprete Adjmal Nashkbandi, il nipote di un alto funzionario della polizia, che fu giustiziato venti giorni dopo. Ora invece ci sarebbe l’impegno dell’Italia a versare un indennizzo alla sua famiglia. Adesso il fascicolo passa alla magistratura italiana e dunque ai carabinieri del Ros che dovranno verificare quanto accaduto, collaborando con gli inquirenti di Kabul anche a smascherare eventuali complotti a danno degli italiani. Per questo — dopo l’interrogatorio dei tre che sarà effettuato martedì al loro arrivo in Italia — una squadra di specialisti guidata dal colonnello Massimiliano Macilenti potrebbe trasferirsi in Afghanistan. E verificare come e perché siano finiti in quel magazzino dell’ospedale pistole, bombe a mano e giubbotti esplosivi.


    Da Corriere.it
     
    .
  3. dango
        Like  
     
    .

    User deleted


    chissa' come mai era esattamente quello che mi aspettavo.. :wallbash.gif: :wallbash.gif: :wallbash.gif:
     
    .
  4. stemil
        Like  
     
    .

    User deleted


    Pare sia stato smentito:

    AFGHANISTAN
    Emergency: "Nessun accordo dietro il rilascio"
    I tre rientrano domani in Italia con un volo civile

    Garatti, Dell'Aira e Pagani torneranno con l'inviato della Farnesina, Massimo Iannucci. L'ong smentisce che la liberazione sia avvenuta in cambio della chiusura dell'ospedale a Lashkar-Gah la cui riapertura sarà valutata con le autorità locali. A Kandahar tre bambini uccisi da una bomba che era su un asino

    KABUL - Rientreranno domani in Italia con un volo civile i tre operatori di Emergency liberati ieri a Kabul. Lo ha reso noto la Farnesina precisando che Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani saranno accompagnati dall'inviato del ministro Frattini per l'Afghanistan, Massimo Iannucci. L'annuncio mette fine alle polemiche scaturite dalla notizia che i tre avrebbero rifiutato di rientrare con un volo di Stato, subito smentita da Rossella Miccio del direttivo di Emergency a Kabul.

    Poco prima era stato infatti detto che i tre non volevano rientrare con il Falcon dell'Aeronautica che sta conducendo in Afghanistan il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto. "Si tratta soltanto di un equivoco" ha spiegato Miccio ai giornalisti presenti nell'ospedale dell'associazione nella capitale afgana. "Sono qui cercando di praticare tutte le vie possibili per il rientro - ha aggiunto l'inviato della Farnesina Iannucci - per il momento sembra si faccia prima con un volo commerciale sul quale anche io viaggerò insieme a loro".

    Il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, ha chiarito che l'ipotesi di rientrare con un volo di Stato approfittando della presenza del sottosegretario alla Difesa Crosetto, era "di difficile realizzazione a causa dell'irregolarità del traffico aereo dovuta alla nube" di cenere vulcanica. Tra l'altro l'aereo di Stato con a bordo Crosetto è arrivato a Herat e non a Kabul e per questo i tre hanno preferito un volo di linea. Poi, parlando del futuro dell'ospedale a Lashkar-gah, Massari ha precisato che decideranno "Emergency e le autorità afgane". "E' una situazione che va esaminata tenendo conto della complessità della situazione di sicurezza nella regione", ha spiegato.

    La precisazione della Farnesina è stata sollecitata dalle voci su un impegno a chiudere la struttura in cambio della liberazione dei tre. Una contropartita esclusa dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che ha anche escluso si sia trattata di un'iniziativa contro l'ong. "Emergency - ha spiegato La Russa - in Afghanistan ha altri due ospedali e 28 ambulatori. Fosse stata una azione contro Emergency avrebbero chiuso anche quelli".

    Un'eventuale accordo con le autorità afgane è stato smentito anche dall'associazione di Gino Strada. "Emergency ha appreso da alcuni giornali italiani che la chiusura dell'ospedale di Lashkar-Gah sarebbe stata una delle condizioni per il rilascio dei suoi operatori", si legge in un comunicato. "A Emergency non risulta nessun tipo di accordo di questo o di altro genere. Gli stessi responsabili dei servizi di sicurezza afgani - si ribadisce - hanno confermato ai giornalisti quello che già avevano dichiarato ai nostri operatori: che sono stati liberati perché non colpevoli". "Il loro rilascio - prosegue la nota - non è quindi dipeso da alcun accordo, ma dal mero accertamento dei fatti. Tutte le decisioni riguardanti la riapertura dell'ospedale di Lashkar-Gah verranno prese da Emergency in collaborazione con il ministero della Sanità afgano".

    I cooperanti hanno passato una notte tranquilla a casa con amici e questa mattina hanno raggiunto l'ospedale di Emergency, dove hanno potuto incontrare i colleghi volontari che si sono battuti per la loro liberazione. Secondo fonti vicine all'ospedale, il gruppo ha incontrato il Consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Hamid Karzai, Rangin Spanta, ma nulla è trapelato sul colloquio. Dopo la conferenza stampa di ieri in ambasciata, Emergency ha per il momento eretto una barriera protettiva intorno ai tre che, pur trovandosi nell'ospedale, non rilasciano dichiarazioni. Una volta rientrati in Italia i tre operatori saranno sentiti dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti, titolare dell'inchiesta aperta dalla procura di Roma, per il momento priva di ipotesi di reato.

    La settimana di paura e tensione si è conclusa bene. La magistratura di Kabul ha fatto piazza pulita delle fantasiose accuse probabilmente montate dalle sezioni locali dei servizi segreti afgani. "Non colpevoli" ha sentenziato ammettendo implicitamente che le armi e gli esplosivi trovati nell'ospedale di Lashkar-gah non potevano essere attribuiti al medico, all'infermiere e all'operatore di logistica arrestati la settimana scorsa. Alla fine ne è uscito bene anche il governo italiano (e Gino Strada lo ha riconosciuto e ha ringraziato) che era partito quasi accettando l'idea che i tre potessero essere colpevoli e ha poi saputo attuare una strategia prudente ma efficace nei confronti di Kabul. Ed Emergency, oggi, può affermare a ragione, per bocca di Strada che "è fallito il tentativo di screditarci".

    Bomba su un asino, tre bambini uccisi a Kandahar. Tre bambini sono morti nell'esplosione di una bomba trasportata da un asino in una strada di Kandahar, nel sud dell'Afghanistan. L'obiettivo dell'attentato era la casa di Fazluddin Agha, un leader tribale alleato del presidente Karzai, e le piccole vittime erano i suoi tre nipotini. E' stato lo stesso Agha a raccontare la dinamica dell'attacco: l'ordigno era nascosto su un carretto carico di biada trainato dall'animale ed è stato azionato quando i tre bambini ci sono saliti sopra per giocare. Ferite altre cinque persone, tra cui gli agenti di guardia all'abitazione del leader tribale. Nella zona ha casa anche Ahmad Wali Karzai, fratellastro del capo dello Stato e capo del consiglio provinciale di Kandahar, ex roccaforte dei talebani.

    Edited by Ireth74 - 19/4/2010, 19:38
     
    .
  5. patna
        Like  
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Bomba su un asino, tre bambini uccisi a Kandahar. Tre bambini sono morti nell'esplosione di una bomba trasportata da un asino in una strada di Kandahar, nel sud dell'Afghanistan. L'obiettivo dell'attentato era la casa di Fazluddin Agha, un leader tribale alleato del presidente Karzai, e le piccole vittime erano i suoi tre nipotini. E' stato lo stesso Agha a raccontare la dinamica dell'attacco: l'ordigno era nascosto su un carretto carico di biada trainato dall'animale ed è stato azionato quando i tre bambini ci sono saliti sopra per giocare. Ferite altre cinque persone, tra cui gli agenti di guardia all'abitazione del leader tribale. Nella zona ha casa anche Ahmad Wali Karzai, fratellastro del capo dello Stato e capo del consiglio provinciale di Kandahar, ex roccaforte dei talebani

    Ancora una volta le vittime della guerra sono bambini innocenti - è doloroso leggere notizie di questo genere !!!
     
    .
  6. Ireth74
        Like  
     
    .

    User deleted


    Feltri (Il Giornale). Campagna di odio contro Strada e Emergency


    Editoriale di Alessandro Cardulli

    “Confermato. La gratitudine è il sentimento della vigilia. Poi svanisce e spesso si trasforma in antipatia, anche profonda. I tre operatori sanitari (medico e infermieri) di Emergency liberati grazie all’intervento decisivo del governo italiano non hanno rilasciato dichiarazioni riconoscenti su chi li ha salvati. Figuriamoci.

    Addirittura hanno rifiutato di attendere l’aereo militare che li avrebbe riportati in Patria; hanno preferito quello di linea, così, per non avere nulla da spartire con l’esecutivo di Berlusconi.
    Il loro atteggiamento indigna ma non stupisce, è perfettamente coerente con il pensiero del loro capo, Gino Strada, un pacifista che non si dà pace, ce l’ha con tutti (specialmente con gli americani), tranne i talebani di cui non saprei dire cosa egli stimi (...)”.

    Parole che suscitano ribrezzo
    Basta così, il ribrezzo che suscitano queste parole con le quali inizia L’editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale intitolato «Non ringraziano chi gli salva la pelle “, non ci consente di andare oltre, pena intensi conati di vomito. Era stato il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto a lanciare un vergognoso attacco ai tre operatori di Emergency, accusandoli d aver rifiutato l’aereo di Stato, quello “stato - aveva detto - che li aveva liberati. Poi, sprezzante, ha sentenziato: “Non ho parole è un fatto che si commenta da solo”. Non si capisce bene chi abbia fornito allo zelante sottosegretario le informazioni, forse il suo ministro della Difesa, quel La Russa che fin dal primo momento ha pressoché avvalorato la tesi del coinvolgimento dei sanitari di Emergency nella organizzazione di un presunto attentato al governatore della Provincia di Helmond.

    Ignorate le smentite della Farnesina
    Le smentite sono subito arrivate da Emergency. Poi il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, ha chiarito ufficialmente. “ L’ipotesi profilata in un primo momento - è scritto nella nota del ministero degli Esteri - era quella di far rientrare i tre connazionali con un volo di Stato approfittando della presenza del sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto. Ma questa possibilità si è resa impraticabile a causa dell’irregolarità del traffico aereo, legato alla nube del vulcano islandese per cui il volo del sottosegretario è stato diretto ad Herat e non a Kabul”. Tutto chiaro. Ma non per Vittorio Feltri il quale fra l’altro pare ignorare la geografia perché basta guardare un atlante per rendersi conto della distanza che esiste fra Herat e Kabul dove si trovavano i tre sanitari . Ma il direttore del Giornale, già sospeso per sei mei dall’Ordine dei giornalisti, ignora anche che l’inviato speciale della Farnesina, Massimo Iannucci che ha seguito tutta la vicenda e il consigliere giuridico, Rosario Atala, si sono imbarcati con i tre sanitari ed altre due infermiere, sul volo commerciale della Safi alle ore 5,30 ( ora italiana). Anche i due alti funzionari del ministero, dovrebbe scrivere Feltri, rifiutano il volo di Stato con Crosetto per “non aver nulla da spartire - riprendiamo le parole del direttore del Giornale - con l’esecutivo di Berlusconi”.

    La bell’anima di Crosetto
    Ormai siamo abituati alle campagne di odio da parte di questo foglio berlusconiano. Non di giornalismo si tratta ma di fango che viene gettato a piene mani sulle persone. Neppure le smentite vengono prese in considerazione. I nemici devono essere abbattuti: Gino Strada è un nemico, ancor di più, amico dei talebani, negli ospedali che fanno capo ad Emergency medici e infermieri curano i feriti, non chiedono prima se stanno con i talebani , non chiamano Feltri al telefono per chiedere il permesso. Non lo chiedono neppure a Berlusconi che per scrivere una lettera a Karzai ha impiegato diversi giorni. Non solo: tutte le agenzie di stampa, riportano le frasi pronunciate dai sanitari dopo essere stati liberati, che hanno ringraziato anche il governo italiano. Feltri, in compagnia di Crosetto, ignora. Un linciaggio insomma nei confronti di chi lavora, rischia la vita per salvare la vita degli altri. E’ questo l’onesto mestiere di un giornalista? La risposta all’Ordine professionale. Per nostro conto prendiamo a prestito quanto detto da quella bell’anima del fantasioso sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto: “Non abbiamo parole, è un fatto che si commenta da solo”.


    Fonte
     
    .
  7. Ireth74
        Like  
     
    .

    User deleted


    "I tre di Emergency sono stati calunniati"
    I pm di Roma procedono contro ignoti

    ROMA - La Procura della Repubblica di Roma ha disposto di procedere nei confronti di ignoti per il reato di calunnia aggravata e continuata in danno dei tre operatori di Emergency arrestati il 10 aprile, e poi rilasciati, in Afghanistan. E' quanto emerge in una nota diffusa dal procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara.

    La Procura di Roma "ha disposto il procedersi nei confronti di ignoti per il reato di calunnia aggravata e continuata in danni di Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani". Gli accertamenti sono stati avviati sulla base delle notizie fornite dalle autorità afghane - si spiega in una nota ufficiale - preposte alla sicurezza al rappresentante diplomatico italiano a Kabul e riversate dal ministero degli Esteri tramite il reparto anticrimine del Ros di Roma dei carabinieri. Il fascicolo è stato affidato dal procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara al procuratore aggiunto Pietro Saviotti.

    Da Repubblica.it
     
    .
  8. patna
        Like  
     
    .

    User deleted


    Spero che Feltri si becchi una nuova condanna - così magari a furia di prendere mazzolate quello sconvolto diventa un pò più furbo !!!
     
    .
  9. Ireth74
        Like  
     
    .

    User deleted


    Strada contro il Giornale e Libero
    "Nostro obiettivo è riaprire l'ospedale"

    Nella sede milanese dell'ong incontro con i tre operatori liberati domenica: "Un complotto perché raccontiamo la guerra e diamo fastidio, ma abbiamo trovato umanità anche in carcere". Il fondatore ha annunciato di aver querelato i due quotidiani da cui si aspettava una rettifica


    MILANO - Finalmente in Italia, Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani, raccontano la loro esperienza con la polizia afgana, che li trattenuti nove giorni sospettandoli di collaborare con i terroristi per poi rilasciarli scagionati da ogni accusa. Gli operatori hanno incontrato i giornalisti questa mattina nella sede di Emergency, a Milano. Siamo stati trattati "con umanità e rispetto", ha detto Dell'Aria, che ha anche parlato di un complotto contro l'ong perché ha fatto conoscere al mondo gli orrori della guerra.

    Gino Strada si è scagliato contro Il Giornale e Libero annunciando di aver querelato i due quotidiani. Aprendo la conferenza stampa, Strada ha segnalato l'apertura dell'inchiesta per calunnia contro ignoti da parte della Procura di Roma. Quindi ha ricordato che calunnie nei confronti dei tre operatori e di tutta Emergency sono state sollevate anche in Italia. A questo proposito ha mostrato due prime pagine del Giornale di Vittorio Feltri con titoli che annunciavano le confessioni da parte dei tre operatori dell'ong. "Questa - ha detto Gino Strada - è spazzatura. Adesso ci aspettiamo che facciano un titolo a tutta pagina con la scritta 'Liberi, sono innocenti'. Non lo faranno - ha proseguito - andranno avanti a fare il loro sporco mestiere. Abbiamo querelato anche la mini spazzatura che è Libero".

    SPOILER (click to view)
    Strada ha quindi assicurato che il primo obiettivo di Emergency ora è quello di riaprire l'ospedale di Lashkar-gah, per continuare a curare i feriti. "Stiamo avendo contatti con le autorità afgane dalle quali abbiamo ricevuto solidarietà" ha detto. "Il responsabile di Emergency in Afghanistan ieri ha incontrato il vicepresidente che ha garantito l'impegno per la riapertura dell'ospedale". Alla domanda se temono per la sicurezza, dopo ciò che è accaduto, e se stanno organizzando un diverso sistema per garantire l'incolumità a tutti, Strada ha replicato: "Non possiamo certo chiedere al nostro governo di mettere parte dei militari attorno al nostro ospedale che, in questo caso, diventerebbe un bersaglio. Stiamo comunque valutando tutte le condizioni di sicurezza anche per capire chi ha organizzato questa sporca provocazione".

    Poi ha lasciato la parola ai tre operatori. "Anche nei posti peggiori - ha raccontato Marco Garatti - puoi trovare una grande umanità". Matteo Dall'Aira conferma, e ha quindi raccontato che al momento dell'arresto nessuno di loro si è reso veramente conto di cosa stava accadendo: "Ho pensato molto alla mia famiglia e adesso sto scoprendo il grande affetto di tutto il popolo di Emergency, per noi di grande conforto". Garatti ha invece parlato del il pensiero fisso dei nove giorni di detenzione: "Pensavo che sarei potuto anche non uscire ma nello stesso tempo mi dicevo che sarei uscito con i miei compagni dopo un'ora. In carcere ci hanno anche chiesto se volevamo un legale, abbiamo detto di sì ma non abbiamo mai visto alcun legale". Matteo Pagani, in collegamento video da Roma, non si è ancora dato una spiegazione del perché di questo arresto: "Non dimentichiamoci - ha detto - che ciò che è stato fatto a noi è stato fatto anche ai cittadini afgani e ciò che è grave è stato chiuso l'ospedale. I pazienti non hanno più nessuna cura e nessuno può aiutarli". Pagani sui suoi giorni di detenzione ha ammesso di avere avuto paura: "In quelle condizioni non è facile pensare. Si può pensare positivo e illudersi e ci si fa del male. Io pensavo alla mia famiglia e ai miei amici e questo era molto di conforto".

    Matteo Dell'Aira è convinto che sia stato ordito un complotto contro Emergency che in Afghanistan oltre a curare i feriti ha fatto conoscere al mondo gli orrori della guerra. "Prima del 10 aprile, giorno dell'arresto - ha spiegato - non abbiamo avuto alcuna avvisaglia. E' probabilmente corretto dire che è accaduto perché abbiamo raccontato la guerra. Ha dato fastidio perché abbiamo raccontato a tutti le storie dei nostri feriti, il 40% dei quali sono bambini. Questo non va dimenticato. Non si raccontano più le barzellette sulla guerra. Cito una frase che non è mia però è significativa e cioè 'la guerra è odore di sangue, di morte e di merda'. Molti parlano senza mai aver visto i feriti".

    Il chirurgo Garatti si è detto addolorato per ciò che ha letto in questi giorni una volta giunto in Italia. "Fa più male dell'essere stato in carcere. Su di noi sono state scritte cose infamanti. Il giorno del mio compleanno ho visto i due ambasciatori che hanno chiesto a me, ma anche ai miei compagni, cosa chiedevo. A loro ho detto che volevo uscire a testa alta. Così è stato perché non volevamo uscire spinti dalla diplomazia. Poi ho scoperto che si è cercato di buttare addosso fango a noi e a Emergency. Per questo, per quanto mi riguarda, chi è responsabile pagherà".

    "Noi non facciamo politica - ha detto il chirurgo rispondendo alle accuse fatte all'ong - descriviamo quello che succede. Per noi un attentatore suicida non è peggio o meglio di chi scarica bombe perché entrambi fanno morti. Noi non abbiamo mai preso posizione per una o per l'altra parte". Garatti ha quindi spiegato di aver avuto paura. "Siamo stati accusati - ha spiegato - di aver saputo che nel nostro ospedale erano entrate delle armi e che noi sapevamo di questa cosa perché eravamo in contatto con i talebani. L'accusa si basava su dati di fatto nulli e risibili". Garatti ha quindi spiegato di non sapere o comunque di non essersi ancora dato una spiegazione su chi possa avere organizzato il complotto contro Emergency: "Siamo stati liberati e di questo siamo orgogliosi e fieri per noi e per tutta Emergency".

    Alla domanda se durante gli interrogatori in Afghanistan fosse stato fatto riferimento al rapimento del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, Garatti non ha nascosto un sorriso ironico: "è stato scritto anche questo, per cui ho saputo di essere diventato ricco. Ho saputo di aver ricevuto dei soldi. Peccato che quando c'è stato il rapimento di Mastrogiacomo io ero in Sierra Leone a lavorare in un altro ospedale di Emergency". "Non so - ha concluso Garatti - se il rapimento di Mastrogiacomo è una scheggia dolente rimasta nelle scarpe dei servizi segreti afgani".


    Da Repubblica.it
     
    .
  10. patna
        Like  
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Abbiamo querelato anche la mini spazzatura che è Libero".

    :rofl.gif: :rofl.gif: :rofl.gif:

     
    .
  11. Ireth74
        Like  
     
    .

    User deleted


    Emergency: operatori afghani in carcere
    Furono arrestati con tre italiani. Ong: vogliamo capire motivi


    (ANSA) - ROMA, 27 APR - I sei operatori afghani di Emergency, arrestati con i tre italiani, 'sono tuttora detenuti' dai servizi segreti. Lo rende noto la stessa ong. Lo stesso giorno della liberazione dei tre italiani - sottolinea Emergency - i servizi di sicurezza afgani hanno annunciato il rilascio di cinque dei sei operatori afgani. Gli operatori pero', contrariamente a quanto annunciato, sono tuttora detenuti in una struttura dell'Nds a Kabul. Gli avvocati della ong sono ora al lavoro per capire le motivazioni.
     
    .
  12. Ireth74
        Like  
     
    .

    User deleted


    'Chiedevo: mi dite perché
    mi avete arrestato?'

    Matteo Pagani di Emergency racconta il suo incubo afgano

    di Matteo Pagani

    Ero seduto sul letto della mia cella con la testa tra le mani. In due metri per quattro, a ragionare mesto su come uscire da un incubo kafkiano. Nono giorno di carcere, quinto a Kabul, nel cervello una matassa di pensieri. Ad un tratto, senza alcuna avvisaglia, vedo con la coda dell’occhio il profilo del mio carceriere afgano. “Buru, buru”. Qualche parola, dopo cinque mesi in quel paese, avevo iniziato a capirla. E quei due suoni “Buru, buru”, seguiti da un comprensibilissimo “you’re free”, mi hanno lasciato all’improvviso senza fiato per respirare. Ero libero, finalmente libero, dopo essermi visto cadere addosso l’accusa di essere un terrorista internazionale, in una Nazione di cui sapevo poco e nella quale ero arrivato con la misteriosa qualifica di logista-amministratore nella struttura di Lashkar Gah di Emergency. Un ruolo apparentemente incomprensibile che flirtava con il concetto flessibile di tuttofare. Per uno come me, partito da una famiglia benestante di Roma nord e poi passato da un master in Economia a Londra, ai tanti sud del mondo dominati da fame, droga, povertà e disperazione, interpretarlo conciliava ormai con la mia seconda pelle. Aiutare gli altri, ormai, era diventata un’altra parte di me. Elettricità, tubature, pittura, radio, Internet, tutto ciò che non era direttamente connesso con le pratiche mediche dell’ospedale, toccava a me. Dovevo far sì che tutti fossero felici. Non mi pesava.

    L’INIZIO DELL’INCUBO

    Ho viaggiato in tutto il pianeta. Ho visto le villas miserias di Caracas e gli avamposti boliviani in cui i bambini sniffano colla fin dai sei anni. Le prepotenze subite dalle donne senza possibilità di difendersi e le culture altre, quelle che ingannevolmente filtrate dai televisori, non si fanno cogliere. Ho osservato tramonti e albe, pianti e sorrisi, ma le cose che ho visto in Afghanistan, non le avevo mai viste in nessuna altra parte del mondo. Corpi dilaniati, brandelli, la demenza della guerra stesa su un letto, senza possibilità di ritorno, salvezza, redenzione. A Lashkar Gah, la vita di tutti i giorni era stretta nel passaggio tra la nostra casa e l’ospedale di Emergency. Quattro chilometri scarsi, con il divieto assoluto di fare altro che non fosse, una volta usciti dall’ospedale, chiudersi con i miei compagni d’avventura per sdrammatizzare l’orrore cui i nostri occhi erano quotidianamente costretti. La nostra casa, una dimora umile, era vigilata giorno e notte da genti non armate, ma la paura è una sensazione che non ho mai avuto. Tutt’al più ci dicevano di chiuderci in casa, ma l’idea di avere timore confligge con la missione di un ragazzo neanche trentenne che attraversa i continenti per dare una mano a chi te lo chiede. Noi aiutavamo tutti. Poliziotti, combattenti, civili. Salvare la vita alla gente. Quello contava. Senza tessere, appartenenze, giuramenti. A cinque mesi e dodici giorni dal mio arrivo in Afghanistan, mi arrestano. Ero partito il 3 novembre del 2009 e all’inizio della primavera, nelle prime ore di un pomeriggio apparentemente quieto, quello del 10 aprile, mi ritrovo in un brutto sogno.

    IL GIORNO DEL FERMO

    Era stata una mattina molto tranquilla. Dal quartier generale Lash arriva una telefonata. “Chiamate tutti quanti gli operatori internazionali e andate a casa”. Ci avvertivano, l’aria stava diventando pericolosa. Se una persona del luogo ti dice una cosa del genere, non ti fai troppe domande. Siamo andati a casa, abbiamo mangiato e atteso nuove notizie. L’allarme pareva cessato, ma dal pronto soccorso di Lashkar Gah, riceviamo un’altra chiamata: alla cornetta, un chirurgo afghano. “Ci sono le forze armate” urla. Con Marco Garatti e Matteo Dell’Aira, siamo saliti in macchina. Andare a vedere di cosa si trattasse, ci era sembrata l’unica soluzione plausibile. Prima di arrivare al’ospedale, ci fermano. Ci fanno scendere, sequestrandoci cellulari e radio. Prendono le manette, le legano ai polsi. Erano eccitati, i poliziotti. E in quella agitazione non si capiva nulla. Alle nostre domande, ai nostri perché, opponevano il silenzio. Ci riportano in ospedale facendoci sedere su tre panchine diverse. Non potevamo parlare tra noi. In qualche modo, l’isolamento inizia in quell’istante. Poi dopo un’ora infinita, portano via i miei compagni. Io rimango in ospedale. Mi ordinano di girarmi verso il muro. Senza informazioni. All’improvviso, arrivano ad Emergency anche i militari inglesi. Gli afghani mi portano verso l’uscita. Nessuno mi dice niente. Finisco in carcere. La prima notte dormo per terra. Senza spiegazione alcuna. Vedo Garatti e Dell’Aira solo attraverso lo spioncino. La mia cella è la più vicina al cesso. Osservarli, integri, somiglia a una luce. Aspetto che sorga l’alba. Il giorno dopo c’è il primo interrogatorio. Mi chiedono se ho avuto comunicazioni con i talebani. Ho risposto sempre di no. Stupito, incredulo, sgomento: “Mi dite perché mi avete arrestato?”

    ARMI E VIDEO

    A quel punto, metallici, i poliziotti rispondono: “In ospedale abbiamo trovato quattro bombe a mano, due giacchetti esplosivi e due pistole”. Armi che nessuno di noi, se non in video, ha mai visto. È stato come camminare a occhi aperti in una pièce di Ionesco. Ogni cosa mi pareva assurda. Fino a poche ore prima scherzavamo a casa, per rimuovere immagini troppo crude per chiunque. Dopo, soltanto dopo ho letto che volevano fare un attentato nella città visto che il governatore avrebbe potuto recarsi in visita. Anche ammesso che fosse vero, attribuirlo a me e agli altri cooperanti, era folle. Oggetto dell’attentato, sarebbe stato il governatore. Un nostro amico, un signore che ci aveva sempre dimostrato una disponibilità non comune. All’inizio, nei primi giorni senza risposte, ho pensato: “Qui finisce male”. La mente andava velocissima. Ti ritrovi in carcere da innocente e ti chiedi se esserlo basti ad uscirne. Come in quel vecchio film di Sordi, in cui lo fermano per un controllo e poi lo precipitano all’inferno. “Non può essere che il solo fatto di essere innocente, mi scagioni”. Poi ho saputo che i soldati, armati fino ai denti, a Lashkar Gah controllavano i computer cartella per cartella.

    LA CALUNNIA

    Non ci hanno trattato male, non hanno fatto grandi pressioni psicologiche e sicuramente nessuna fisica. Durante la prigionia, abbiamo incontrato l’ambasciatore italiano. Una brava perona impigliata in un colloquio formale. Una scena giòà vista al cinema in cui carcerieri e diplomatici, al di là della loro volontà, concorrevano a un abusato, inevitabile gioco delle parti: “Non gli abbiamo torto un capello”. “Faremo di tutto per tirarvi fuori”. In quei nove giorni abbiamo fumato sigarette, riflettuto, visto il peggio come un’ipotesi non lontana. Quando mi hanno detto che era finita, sono uscito dalla cella abbracciando i miei amici. Senza discorsi. Certe volte sono sommamente inutili. Ho saputo che alcuni politici, con in testa il ministro La Russa, hanno speso nei nostri confronti parole atroci. Epiteti, insulti, insinuazioni. Si era sparsa la notizia che avevamo confessato le nostre responsabilità. Una bufala foriera di episodi molto sgradevoli. Ci hanno additato, giudicato, condannato in televisione. “Mele marce”, il rilievo più dolce. Ma questo l’ho saputo solo dopo. In cella non avevamo il televisore al plasma. Ho pensato alla querela, ma non è facile. L’ufficiale dell’intelligence inglese, dopo la scarcerazione, ci ha ricevuti: “Mi hanno portato accuse contro di voi, le ho verificate e le ho trovate del tutto infondate”. Forse la stessa prudenza, avrebbero potuto averla anche i media. All’areoporto di Dubai, ho incontrato un signore. Aveva un fare insopportabile. Aggressivo, protervo, saccente: “Tu sei di Emergency?”. “Sì”. “La smettete di andare in giro a far danni? Tanto poi deve intervenire il governo e pagare per salvarvi”. Non ho replicato. Però l’idea che per un pezzo di paese, io sia un terrorista mi fa incazzare, non sorridere. Se un giorno riapriranno l’ospedale di Lashkar Gah, tornerò. Senza dubbi, ripensamenti, titubanze. Nel darsi pulsa una felicità assoluta. È uno stato dell’anima. Quando l’hai toccato, tornare indietro è una violenza. Dopo due mesi a Roma, la mia città, inizio a guardare fuori. Partire. Aiutare, conoscere. Sono nato per quello. Non desidero altro.

    Da il Fatto Quotidiano dell'11 maggio

     
    .
  13. dango
        Like  
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    La smettete di andare in giro a far danni? Tanto poi deve intervenire il governo e pagare per salvarvi”.

    E l'atteggiamento stolido ed aggressivo di chi non solo non capisce il senso di aiutare chi soffre, ma è oramai talmente ripiegato su stesso, sul suo piccolo mondo, suoi sui interessi, da vedere come nemico chiunque invece non ha rinunciato a:
    CITAZIONE
    Partire. Aiutare, conoscere.

     
    .
42 replies since 12/4/2010, 19:08   238 views
  Share  
.